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Paolo Borsellino, la speranza nei giovani e il dovere della memoria

Il 19 luglio è una data che rimane nella memoria degli Italiani : l’anniversario della strage di via D’Amelio, in cui il magistrato Paolo Borsellino venne assassinato con cinque agenti della sua scorta. Era il 1992, un anno tragico che nessuno dovrebbe dimenticare: solo due mesi prima, il 23 maggio, la mafia aveva già colpito uccidendo Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.

In quegli anni seguivo con attenzione il Maxiprocesso di Palermo, la più grande azione giudiziaria mai intrapresa contro Cosa Nostra, e forse proprio per questo motivo sono rimasta tanto legata al ricordo di quei giorni. Ero affascinata e profondamente colpita da questi due magistrati straordinari, li seguivo con rispetto e con la consapevolezza che stavano cambiando la storia del nostro Paese.
Negli anni ’80, Falcone e Borsellino avevano dato vita al Pool Antimafia, un gruppo di magistrati che collaboravano strettamente, condividendo segreti, intuizioni e documenti, per spezzare la rete mafiosa. Grazie a loro e al contributo di alcuni collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta, si arrivò al Maxiprocesso del 1986-87: una sentenza storica che condannò centinaia di mafiosi, dimostrando che la mafia era un’organizzazione vera e strutturata, non una semplice sommatoria di criminali.

Il loro successo ebbe un prezzo altissimo: li rese nemici giurati di Cosa Nostra. E purtroppo, anche lo Stato non fu sempre all’altezza di proteggerli.
Dopo la strage di Capaci, Borsellino sapeva che la sua ora sarebbe arrivata presto. Non si arrese, non rallentò, continuò a lavorare con la stessa determinazione di sempre, consapevole del rischio. Ancora oggi, la verità su quella strage non è completa, ci sono troppe ombre, troppe complicità inconfessabili tra mafia e pezzi deviati dello Stato.

Quest’anno, alla Maturità 2025, uno dei temi proposti prende spunto da un discorso di Borsellino: “I giovani, la mia speranza”. In quelle parole c’è tutto il senso del suo impegno, credeva nei giovani, nella loro capacità di cambiare le cose, di ribellarsi alla logica dell’omertà e della violenza. Era convinto che senza il coinvolgimento delle nuove generazioni, la mafia non si sarebbe mai sconfitta davvero.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano amici, fraterni e inseparabili. Due magistrati straordinari che io stessa, come molti italiani, non smetterò mai di rimpiangere, per intelligenza, capacità e coraggio: uomini così, temo, non li avremo più. Ricordarli non è solo un esercizio di memoria: è un impegno morale e civile.

Lorena Provasi

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